sabato 26 dicembre 2009

La cartina tornasole

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Io bevo solo acqua, succhi di frutta alla pesca e, se proprio devo, cicchetti di vodka alla frutta: fosse per me i bar sarebbero già falliti da tempo e per loro fortuna, sono la cosiddetta mosca bianca che ronza attorno senza mai posarsi. Se solitamente me ne fotto devo ammettere che è una palla allucinante spiegare ogni volta il perché e il percome della mia incapacità di farmi piacere il caffè. Mi fa schifo.

Il caffè mi da di adulti con denti ingialliti, con l’espressione schizzata e che non hanno tempo per ascoltare, immersi come sono nella loro ricerca affannosa dell’efficienza drogata dalla caffeina e da chissà quali turbe infantili. Le ho anch’io, ma le mie evidentemente mi impediscono di assaporare, gustare e apprezzare roba come vino, birra, caffè etc etc, cioè tutta roba buona per gli aspiranti drogati vorrei- ma-non-posso, schiavi del fatto che la se la coca è meglio, dal punto di vista morale Gesù mio dai tu un occhio a questi peccatori. E con drogati non mi riferisco solo ai vari workholic che vivono per lavorare e che si spaccano sperando che da vecchi avranno i soldi e tutto il resto che non si son goduti da giovani (di solito sono avvocati). Ballerò sulle tombe dei miei coetanei avvocati prima dei 40 anni, lo so. Per drogati intendo anche quelli bisognosi di avere qualcuno attorno che stia lì a far da sagoma di cartone mentre si lamentano della ragazza che non vuole scoparli, del capo testadicazzo, dei soldi che non ci sono mai o comunque mai abbastanza e persino del caffè che hanno davanti, che vedo vorticare nella stretta tazzina semi sterilizzata e ancora umida del panno sporco del barista. Il cucchiaino fa girare il caffè come le loro espressioni perplesse fanno girare le mie palle dopo che ho risposto al loro “Tu come lo prendi il caffè?”

E mi ritrovo a fargli compagnia perché non si può fare un discorso qualsiasi senza andare a prendere un caffè, anche se è il decimo discorso che fai con altrettante persone. Si va per abitudini, ormai. Cliché instradati in neuroni troppo intasati persino per tossire. “E andiamo a sto cavolo di bar, ma io non prendo niente, ok?” E fammi compagnia si trasforma in sette chilometri a piedi il 24 di dicembre e in due euro e cinquanta di succo di frutta con calorie annesse assolutamente inutili. E si che ormai i miei sensi di colpa verso le calorie sono inversamente proporzionali al mio metabolismo, ma sembra quasi che far compagnia ad una persona significhi condividere il conto dalla cassiera e non più scambiarsi un po’ di chiacchiere. Mah, fatto sta che o mi adeguo o per socializzare mi rimarranno solo situazioni molto più costose e talmente rare da presentarsi infattibili persino al meno sveglio. Punto in più al mio sentirmi la pecora nera rifiutata persino dal pastore. Nera come l’unico caffè che ho il piacere di seguire: quello che beve un mio amico dell’università.

Per me non esistono cose inutili. Tutto ha una funzione e quella del caffè non può essere solo quella di mettere a dura prova la pressione interna dei miei testicoli. Vado a bere un caffè, pronunciato sommessamente con la voce del cuscino e accompagnato da lieve cenno del collo che sta a significare “E fammi compagnia… tanto…”. Lui lo prende sempre nero, senza l’ombra di dolcezza e compassione. Io resto sempre un po’ a distanza, causa odore quasi insopportabile delle macchinette tenute come fossero i cessi più sporchi di Edimburgo e messe a venti centimetri dai bidoni colmi di bicchieri usati. E’ un rito quello del caffè mattutino che mi affascina. Come se prima del caffè noi umani vivessimo una vita con gli occhi a mezz’asta. Gli stessi del mio amico, la cui reazione è sempre utilizzata dal sottoscritto come cartina tornasole della giornata che verrà. Se fa la faccia schifata allora la giornata sarà buona. Se invece si lecca persino la lingua alle labbra e mi fa anche un “Buono oggi!” allora la giornata sarebbe meglio concluderla dopo massimo mezz’ora perché se persino un caffè amarissimo e puzzolente delle macchinette ti sembra buono allora vuol dire che il suo cervello preveggente va di paragoni e posso solo adeguarmi togliendomi immediatamente dalla traiettoria delle zaffate di alito caffeinico e nicotinico di chi è alla ricerca disperata di qualcosa in più di una sagoma di cartone a cui parlare, troppo deboli per rendersi conto che si è sempre campati alla grande anche senza caffè e tutte quelle altre menate para-sociali.

Non sarà una realtà fantastica la mia, ma almeno la vedo per come è e con i miei occhi drogati solo dalle mie esperienze. E a volte questa mia realtà è amara, come quel caffè alle macchinette.

Music on air: Depeche Mode – Dream on

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