lunedì 31 dicembre 2012

Un concerto di ding

 

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Questo post non c’entra, è un intruso. Avrebbe dovuto essercene un altro, ma s’è fatto largo, ha spintonato un po’ e, tutto maleducato, ha saltato la fila arrivando qui. Il Post Sulla Lingua lo guarda un po’ di traverso, lo ascolta con il cuore che solo i racconti sanno avere e lascia fare, tradendo uno sguardo un po’ amaro rivolto verso gli altri racconti, il fotoromanzo e il libro sulla memoria e sui padri. Twitter trova una sedia dietro la colonna e conta i ding.

 

Finora Le ore di sonno sempre più rare, quella serie tv e quel film che “li recupero durante le vacanze natalizie” e i giorni interi divisi solo dai letti diversi e il lavoro. E allora ritorni a casa e pensi che sia ora di svelare il segreto delle lingue nelle mie profile pic e invece no, non ancora. Perché oggi non ti senti appassionato e fiammeggiante in corpo come lo spirito della cronaca del perché io abbia scelto una lingua come mio simbolo personale. Non ce la fai. Come quando uno dei miei titolari nota l’assenza di una delle cameriere in un giorno in cui si prevedevano il triplo dei coperti, “No. Oggi no”.

E oggi proprio no, speriamo che entro domani il mio sistema endocrino si irregolarizzi e mi doni un po’ di quella possibilità di infiammare i cuori. Una preghiera alla Speranza. Non mi capitava di farne una da quella volta che mi misi in testa di perdere un sacco di chili per una gara. Vinsi il secondo posto, ma arrivati lì non ha più importanza. Vincere una sfida contro se stessi è una di quelle cose belle che quando ti capitano ti vorresti dare una di quelle pacche con le dita che stringono un po’ e fare quella faccia soddisfatta. Una roba così mi è capitata, ma non quest’anno. Quest’anno è stato tutto un Lasciamo Perdere che saltava la fila assieme ai vari Mai Una Gioia. Una roba che solo in certi uffici postali ai bei tempi in cui esisteva ancora il Liuk all’amarena. E tu sei lì dietro lo sportello e il finto vetro anti proiettile che vedi benissimo la fila e la lancetta dei minuti bloccata e quella delle ore pure e quelle dei mesi e degli anni no, quelle sono andate sempre come due turbine da aereo. Uno di quegli aerei che l’ultima volta che ne hai preso uno è stato troppo tempo fa. Eppure i fantasmi che ti sei portato dietro sono ancora qui che attendono il proprio turno e invece no e sono sempre senza numerino e non ci sono altri sportelli. Fantasmi senza catene e con le suole di gomma, ma che fanno un rumore infernale ogni volta che torni a guardare verso di loro. E il tuo sguardo si perde, nei riflessi di finestre su altre finestre piene di alba che sbattono per tutto questo vento che vorrebbe portarsi tutto via. T’immagini cambiare e non fregartene più, ma ormai è tardi e sei così e mo t’attacchi. Ci hai messo tutto questo girare di lancette per diventare questo ammasso di macigni che ti restano in gola e adesso è un casino che o abbatti o t’armi di santa pazienza e lasci perdere. Nei tuoi pensieri, nelle tue azioni e nei tuoi ricordi.

Fumi un po’, ma solo per riscaldare i tuoi pensieri e l’effetto che ottieni è bruciarti dentro di rimpianti e rimorsi e non valgono a nulla i mantra come “Ormai”, “Checcevoifà” e l’internettiano “Shit Happens”. Nessun cambiamento e sotto sotto ci speri ancora in un ritorno a quando sapevi meno. Almeno questo.

 

E ti ritrovi a ri pregare la Speranza, bruciando nicotina e ricoprendo di cenere leggerissima i ricordi. Come quando è ciò che hai perso a farlo con quello che sei dentro.

 

Music on air: Nujabes + Fat Jon – How you feel

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