sabato 18 gennaio 2014

I filosofi dei cessi pubblici

Questi sono giorni di lotta dura, di quella che ti sforzi talmente tanto che dopo un po' sospendi e niente, devi tirare lo scarico del cesso. 

Ho i piedi nelle ciabatte di mio nonno, le mie sono disperse in qualche valigia, dispersa a sua volta in qualche casa. Non mia, eh.
Ultimamente le mie finanze mi hanno permesso un soggiorno di due notti sotto un ponte, uno di quelli piccoli, in subaffitto con una famiglia di rom. 

Fuori è buio, dentro pure. Rompo botilia, sveglio familia.

Vedo i loro piccoli occhi bianchi strillare nel buio sepolcrale dell'arco di mattoni che ci fa da tetto. Il mio sangue viene risucchiato su nel cervello con la stessa potenza di, beh avete capito. Ma non fa in tempo ad arrivarci perché viene sparso assieme ad un mio molare sul marciapiede dove degli operatori ecologici lo fanno sparire nelle spazzole turbinanti del Hai Risparmiato Centoventi Euro Per Il Dentista. Ma torniamo ai rom che vogliono farmi il culo. Quella botilia era il biberon del piccolo Mamhoud che a tre anni e mezzo è più alto di me di dodici centimetri. Parlo di me e di lui sdraiati, sia chiaro.
Io sono astemio, magari è per questo che la punta del mio uccello non sia così lontana dal mio corpo come quella di Mamhoud dal suo gracile corpicino mulatto. 
Ma toniamo a botilia. Anzi, andiamo avanti, a quando la famiglia rom mi caccia durante la notte con le ciabatte del nonno piene dei miei piedi e dei frammenti di vetro della famosa botilia. Eccomi, sto cacando dentro il cesso di un pub irlandese in qualche stradina che nemmeno google maps sa. In Trainspotting si caca meglio. La catena mi resta in mano. E' una metafora lo so. La stringo forte, la carta è finita. Stringo più forte, è una lotta dura. Strizzo talmente forte l'ano che anche le palpebre fanno altrettanto. E poi arriva quel momento, subito dopo il pluff e la sensazione di goccioline di fu acqua sulle chiappe. Il momento in cui riapri gli occhi e provi la stessa ebrezza di uno che ha appena mangiato due grammi di funghetti e crede di stare dicendo all'amico accanto: "Cazzo, funziona!" Ma guardiamo in faccia la realtà, di amici che ti tengono stretta la mano mentre ti fai di droghe allucinogene non ne fanno più. Quelli che c'erano ti hanno già dichiarato le loro perplessità ormonali che nascevano dall'estatica visione di te con il barbone di tre settimane. Non è moda, gli confessi: è povertà. Ma lui niente, è diventato l'emblema di tutti gli amici che non ci sono più. Ci sarebbero ancora, ma egoisticamente preferisci restare solo col tuo culo intatto. Poi ripensi allo sforzo che stai facendo in questo cesso. Ho la vita sporca di metafore. Forse dovrei chiedere alle tipe che mi hanno dato il culo prima di rendersi conto dell'odore del mio sperma e scappare via verso il più vicino fustino di Viakal come risolvere questa incresciosa situazione otturatoria. Probabilmente se grido almeno una sono certo che mi risponderà. Con difficoltà tipiche di un avido consumatore di popcorn, certo.
Ma torniamo a me che riapro gli occhi dopo averli strizzati a sangue per compensare quello che stava colando settanta centimetri più sotto.
Il diaframma dell'unica reflex per ora in mio possesso va da f22 a f0.1 in un seimillesimo. E la fotografia viene scattata.

Sarebbe tutto più facile se fossi Dio, leggo sulla porta del bagno.

I muscoli si rilassano, ora le energie servono altrove. I tizi globuli rossi vengono tutti richiamati dal nonno tutto barba, capelli bianchi, nasone e antenne verso il cervello. Guardo verso il basso e mi rendo conto che la lotta dura contro il piccolo Mamhoud è persa, ma non quella contro i filosofi dei cessi. Stringo la catena, ne stacco un anello e incido la mia risposta.

Pensavi la stessa cosa quando eri un bambino e volevi diventare un adulto.



Music on air: Cosmo - Le cose più rare


1 commento:

Anonimo ha detto...

chissà la sensazione di sporcarsi di metafore, di sporcarmi di metafore, di schizzarmi su metafore...

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