martedì 12 giugno 2012

Malinconica obliterazione


Caution wet

Il viaggio è come una scopata: il bello arriva quando ti ritrovi a doverlo raccontare agli amici.
E allora si viaggia. Qualche volta lo faccio io, più spesso lo fanno gli altri.
Mi è capitato di ascoltare un sacco di racconti di viaggio e, nonostante la bellezza dei luoghi cercati e trovati, alla fine tornano tutti. In certe persone il viaggio dura per sempre mentre la vacanza termina quando pronunci le parole dell’incantesimo: “Mi ci sto abituando a tutto queSPACK!” (o quale sia il rumore di un jet che superi la velocità del suono) e rieccoti davanti al frigo vuoto a bestemmiare il fatto di doverti vestire per andare a fare la spesa all’iper. I soldi son pochi (li hai spesi tutti in vacanza) e speri che ci sia qualche offerta almeno sui wurstel o sulle sottilette, altrimenti davanti a Raidue Rewind si mangeranno i croccantini di Fido. O direttamente Fido, se si potesse usare il legno delle sedie di Zia Teresa per fare un focherello. Zia Teresa è morta, vaffanculo le sedie. E allora ecco che.
Vieni, mio fido Fido! Hai presente l’Ucraina? Ecco, fa provincia con la mia pancia… 
Anche quello dell’ormai ex Fido è un viaggio. Incontrerà tanti bei moscerini e uccelli vari nella sua scalata per il Paradiso. Un po’ d’umido, ma per fortuna oggi è una bella giornata e, se non fosse già sera, splenderebbe pure il sole. Fido incontrerà nuvole lungo il suo zompettare.
Io, nei miei viaggi, incontro puttane.
Le riconosco a posteriori, inizialmente non ci faccio caso e, almeno nel caso di Ibiza, giuro che fossero vestite in maniera molto più discutibile le abituali clienti delle varie discoteche che le varie cubane/nigeriane/cecoslovacche incontrate in giro e a cui ho anche chiesto dove cazzarola fosse quella via dove andare a prendere il bus. Molto gentili, soprattutto nel chiedermi poi se volessi un pompino. No, grazie tesora, ma farei tardi per il bus e la tua mascella vorrei non si slogasse fino alla pensione. E i testimoni che m’ero portato appresso si ritrovano con una storia da raccontare una volta tornati nella città natale.
Ovunque vada qualche puttana la incontro. E’ un po’ come quando se sei turista sai dove trovare le cartoline. Se in quella città ci vivi non sai nemmeno che le vendono delle cartoline con stampata la foto della Cattedrale prima del restauro del ‘93. Immagino sia la stessa cosa qui a Bari. O forse è solo diverso. Qui le puttane ci sono, ma spesso cambiano posto. Arrivano, si piazzano, tirano su qualche spicciolo e vanno via dopo aver divertito le masse. Sembra un circo, ma in questo caso gli animali non sono nelle gabbie, ma sul lato guida.
E ultimamente ne ho vista una mentre vagavo con la testa più lontano di dove potesse andare tutto il resto. Era ferma all’angolo tra una stradina di campagna e una strada che porta in centro. La minigonna poggiata su un muretto, le scarpe tali e quali a quelle di una mia amica (“Dieci euro dai cinesi! Belle, eh?”) e lo sguardo imbarazzato nascosto dal poco fumo di un fuoco spento. Un po’ come lei, un po’ come quel tabacco da ciccare prima di tirare un’altra boccata.
Fermo in fila per dei lavori ad un incrocio a 50 metri dal muso della mia macchina, ascolto cosa dice al tizio che s’è fermato a un metro da lei. E’ italiana e in un paio di frasi ci piazza pure dei congiuntivi. Sembra parli in playback. La prima macchina della fila non da il minimo segno di vita, io mi rullo una sigaretta. Lecco la cartina, alzo gli occhi e vedo lei leccarsi le labbra. I nostri occhi fanno altrettanto, ma lei ritira la lingua. Potrei usarlo come codice per riconoscere le mie follower fuori da Twitter – penso. Accendo e lei è lì che si mette un cappotto addosso. Le copre interamente nonostante il caldo. Se fossi passato adesso avrei detto che era una a cui serviva un passaggio vero.
Sono tentato di fare come al Circo e scattare qualche foto. Più che altro per mostrarla ai miei amici e chiedergli se sembri davvero una prostituta. Forse ho qualche problema. Forse ne vedo troppe dalla mattina all’altra mattina.
Immagino pagliacci e leoni ammaestrati intorno a lei che agita la frusta. Immagino animali avvinghiarsi a lei con unghie retrattili e dentiere gialle a causa delle troppo sigarette. Immagino lei che ascolta il fantasma di Bruce Lee e che diventa acqua, fluida e che prende la forma del suo contenitore per sette-dieci minuti. Immagino lei che tiene a bada tutti usando le sopracciglia e le labbra. Vorrei immortalarla e portala a casa nel modo più moralmente accettabile che esista. Vorrei rubarle l’anima con una foto per poi ascoltarla e imparare ad andare avanti una scopata alla volta, sconosciuto dopo sconosciuto. Immagino di ascoltare le sue risposte. Ricevere una risposta è sexy. Vorrei chiederle se dopo aver svelato la sua parte più intima restino ancora estranei. Chiederle se sia la fica la parte più intima di una donna o siano tutte quelle sensazioni che decorano i ricordi e le voglie. Chiederle di andare in riva al mare e sentirmi rispondere che i suoi animali di razze sconosciute sono come quella gigantesca massa d’acqua di fronte ai nostri occhi. Arrivano un’onda alla volta, mai uguali, nemmeno a se stessi. Ripenso alla parola schizzi. Penso agli scogli com’erano milioni di onde fa e a come sono adesso. Penso alle spiagge di Settembre, ma siamo a Giugno e la prima auto riparte. Il viaggio pure.
CLICK fanno i miei neuroni.
ZITT fa la fotocamera del cel.

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