lunedì 16 febbraio 2009

Quel libro che voglio scrivere



Non ti è mai venuto in mente di smetterla di affannarti, di rimanere a galla in quell'acqua salmastra che è la tua vita e di metterti comodo su un materassino gonfiabile da piscina, magari di quelli colorati con la tendina per il sole? Magari vincendo tanti soldi da non sapere come spenderli in questa vita? L'hai fatto, lo so.
C'è chi tira calci ad un pallone cucito da bambini nati vecchi, chi dà i numeri e li azzecca o chi fotte il prossimo senza regalare orgasmi. Io non voglio fare nessuna di queste cose: io voglio fare i soldi scrivendo un libro.

Music on air: The cure - To wish impossible things (Piano Version)

Uno di quelli che parlano di quelle città che quando non sei in grado di abbandonarle è la cosa che desideri di più e poi quando te ne vai, quando arrivi nella grande città e vedi finalmente quello che avevi solo immaginato o sentito, ci vuoi tornare. Per farti capire che siamo sempre insoddisfatti e non c'è un luogo che ci renda felici per quello che è. Siamo stati rinchiusi in noi stessi alla nascita. Facci caso: dipende dalla fortuna o dal caso se siamo felici quando ci troviamo a passeggiare tra quello stradone o in quella viuzza, in quella piazza gremita di varia umanità o a quel divano davanti la tv spenta. Spenta perché vuoi leggere quel libro che ti racconta storie che ti fanno capire subdolamente che tu vuoi sempre di più dalla vita. Forse perché di vita da vivere ce n'è sempre di meno. Devi compensare in qualche modo, ecco il segreto. Più vai avanti e più non ti basta. Tutto deve rimanere in equilibrio, altrimenti si cade nel fondo dell'Abisso. O burrone o crepaccio o come hai imparato a chiamarlo. Non importa come lo chiami. Si trova proprio fuori da quelle cittadine da cui scappa la gente che sogna. Non c'è erba verde, non ci sono sassi dalle strane forme, del terreno ricco di buche piene di animali. E' tutto uno schifo da questa parte e l'altra parte non la vedi, ma è talmente lontana che pensi che "Dai, non può essere come qui!" e cerchi una strada, un ponte o una corda per arrivare dall'altra parte. Sei come tutti noi, figli di generazioni di virus che hanno abusato di tutti i passaggi e adesso rimangono solo fili che congiungono l'inizio e la fine: vai un po' più là 'ché il filo giallo è della ragazzina che è nata una decina di minuti prima di te. A te tocca quello lì, un po' isolato dagli altri.

"E poggi il piede, rimani lì sul filo a fare l'equilibrista senza averne mai visto uno vero da vicino. Procedi a passi, nel buio, col sole che dovrebbe sorgere mostrandoti l'alba. Seee... Intanto che attendi capisci che ogni tanto qualcuno impara che bisogna pur fermarsi, almeno quando piove. Altri procedono spediti, se ne fottono dei consigli che arrivano dall'altra sponda e finiscono giù. E senti le loro grida confondersi nel vento che sale gelido, nei suoi ululati e in quello che corre contrario a te. Questo è il più bastardo di tutti perché prima di arrivare a tagliarti la faccia si è ripassato tutti i vari campi concimati del circondario e ha fatto cadere bidoni interi di immondizia. E' tanto forte che tutto quello che è stato usato e gettato via da quelli venuti prima di te arriva a schiaffeggiarti, a scuoterti, a romperti l'anima e a farti venire i cinque minuti. Attento quando sorridi, potresti vedere riempito il sorriso con qualcosa di sgradevole. Il buio ti guarda e lo sa che sei ancora lì che cerchi di andare avanti con quel foglio di giornale attaccato alla faccia, con gli occhietti miopi che si ritrovano scritte curiose a due millimetri dalle iridi impotenti. Il vento ti spinge sempre più vicino quel foglio: non vedi niente, ma annusi un po' e tene accorgi: conservava l'assorbente e il preservativo gettati la sera prima da quella coppia. Le relique del loro amore. Ti farà male solo pensarci e arrivati a questo punto la prima volta è uno scossone, ma la seconda ti fa scivolare da quel filo, eppure ti ritrovi, appena in tempo. Alla terza ti consoli mentendoti che ti stai abituando a sorbirti quel ceffone puzzolente sulla faccia. Sopra quell'abisso non c'è abitudine che tenga. Tieni i denti stretti, le labbra serrate, la pazienza al limite e quei famosi cinque minuti che durano da ore, giorni, settimane..."

Manco te lo scrivo su quel libro che voglio veder pubblicato. Eppure lo capirai, lo intuirai da qualche frase banale solo in apparenza e messa lì, in cui c'è scritto qualcosa che già sapevi benissimo, nascosta da qualche parte, tra la tua memoria e la tua coscienza. Quel tipo di frasi che ti fanno accendere la lampadina in quel buio sul filo. Frasi che descrivono il te del momento. Milioni e miliardi di frasi per descrivere ogni attimo su quel filo. Aforismi vissuti da te e ascoltati di sfuggita da un altro equilibrista. Una frase alla volta. Perché sei solo quello. La tua immagine vive nei loro occhi. Non sei mai davvero te se non sei completamente solo. Ti adatti, gesticoli e parli inutilmente perché dalla prima impressione non si ha mai tempo di riabilitarsi. Sei un inconsapevole condannato alla vita degli altri.

Per ora sei solo all'inizio di quel labirinto di fili intrecciati da Destino, poi chissà, magari troverai quel libro che prima o poi scriverò, che romanza tutto quello che hai vissuto e di come lo stai vivendo...

Che magari ti aiuterà.

Chissà.

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