mercoledì 19 marzo 2008

Rothe Cund


Invisibile, in quella strana terra stracolma di faerzress, non osava muovere un muscolo. Stava già preparandosi ad un nuovo piano. In superficie i pericoli erano molti e capire come mai ci fossero tutti quei sussur e luurden era già una distrazione di troppo. Vide l’accampamento di elfi chiari e contò fino ad arrivare a una proporzione di dieci contro uno. Il suo gruppo sarebbe stato trucidato in pochi minuti se fosse uscito dalla caverna. Un sorriso modificò la forma delle sue labbra. Ripensò alla confidenza che le aveva fatto la sorella. Ripensò al silenzio della sua dea. Controllò che il suo fermaglio del camuffamento funzionasse ancora e iniziò il completamento della sua missione. Trattenne il potere del suo anello e richiamò l’attenzione del suo gruppo, dando il via libera con il sistema di linguaggio muto della sua razza.
Ammirò il sublime spettacolo della morte di sua sorella e con estasi orgasmica assaggiò il suo sangue giunto sul suo volto da uno schizzo della sua giugulare. Decise che avrebbe potuto prendere le sembianze di quell’elfo per ricompensarlo dell’ottimo servizio. Come previsto pochi minuti dopo si ritrovò unico drow vivo in un esercito di elfi chiari forse più bestiali di alcuni suoi schiavi.
Adesso l’esercito di elfi si ritirava nel fitto della foresta e i pochi feriti che erano rimasti vivi, opera dei più inetti delle sue fila, venivano trasportati a spalla dai più forti tra gli eldreth veluuthra. Elfo chiaro tra gli elfi chiari, vittoriosi sul suo gruppo composto tra gli altri da sua sorella, ammirava il massacro che aveva visto protagonista i suoi ex compagni di squadra. Era vero ciò che gli raccontavano gli schiavi, quelle rare volte che non lo supplicavano di lasciarli vivi: l’odio tra le due razze di elfi era palpabile in ogni singolo fendente, in ogni singola ferita inferta al corpo di qualunque rappresentante della razza avversaria. Vriza stessa era stata utilizzata come esempio e sospesa all’uscita dalle profondità priva dei suoi arti e con ancora quell’espressione di terrore sul volto. Alcuni tra gli eldreth veluuthra orinarono sul corpo della sorella prima di issarla con gli uncini di acciaio su per il soffitto della caverna, bestemmiando di non avere più tempo a loro disposizione per affinare le loro tecniche di tortura su di essa.
Il suo affinato istinto di autoconservazione gli suggerì di attendere tra quei rami e cercare di svanire dai ricordi di quegli elfi chiari. Adesso Fjord non aveva più intralci.
E adesso? – pensò il principe Fjord. Avrebbe potuto fregiarsi ancora di questo titolo dopo la morte di sua sorella, futura matrona del suo casato? Sarebbe potuto ritornare dalla matrona da solo? Adesso era solo ed era a caccia. Adesso era libero.

Il drider sembrava trascinarlo da giorni, senza sosta, senza riposo alcuno, sostenuto dai sentimenti di vendetta e dall’odio verso tutta la razza a cui apparteneva anni prima. Fjord era un assassino e aveva imparato la migliore delle armi della sua professione: la pazienza. Avvolto negli innumerevoli fili di seta cercava di respirare attraverso lo spiraglio che era riuscito ad aprirsi coi denti. Giunto il momento sarebbe bastato ridursi in poltiglia e scorrervi attraverso per lasciare il drider alla fine che gli illithid riservavano agli inadempienti... Se tutto fosse andato bene avrebbe ottenuto quelle lenti di onice oscura con cui esplorare meglio la superficie. E parecchi altri tesori.
Contemplò il modo di comunicare di quelle aberranti creature con i tentacoli con l’unico occhio che riusciva ad utilizzare per spiare fuori dalla tela di ragno in cui era avvolto. Rimase senza fiato e senza accorgersene tossì per non rischiare di soffocare. Il drider era immobile e anche se di schiena poteva avvertire il suo stordimento. Il mind flayer con i tentacoli lunghi estrasse la spada e con un movimento veloce e preciso fece cadere il corpo del drider privo del suo cervello. L’occhio di Fjord saltò dal cranio vuoto del drider alla spada dell’illithid. Iniziò a sudare freddo e decide di dileguarsi sottoforma di poltiglia invisibile. Sgusciò dallo strappo della tela e si avviò verso il fosso che aveva visto pochi metri prima. Sentì abbattersi un incantesimo sul suo corpo e si bloccò. Alcuni istanti dopo tornò alla sua forma umanoide senza averlo prima deciso.
Il tuo corpo è di grande interesse per la ceremorfosi. Avrai l’onore di dare la vita ad uno dei miei girini... – ascoltò nella sua mente.

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